Klobasa - seconda parte

 La prima parte del racconto la trovate qua

 Quando aprirono gli occhi si trovarono all’interno di una stanza buia e senza finestre, faceva freddo e si sentiva il ronzio come di un motore. Un filo di luce filtrava dalla porta chiusa, uno strano odore dolciastro e acre riempiva l’aria, in un angolo della stanza scorsero delle strane ombre che pendevano dal soffitto. Erano confusi e storditi, con la testa che girava e ronzava e le gambe molli. 

Dove si trovavano? E come erano finiti lì? L’ultima cosa che si ricordavano della sera precedente era che l’oste, dopo che avevano terminato la becherovka, gli aveva portato una serie di liquori fatti in casa. Avevano bevuto tanto, ma non così tanto da non ricordarsi cosa fosse successo, cosa era quello che avevano bevuto? Che cosa era accaduto quella notte? Non avevano più niente con sé, chiavi, cellulari e portafogli gli erano stati tolti e presi dal panico non sapevano cosa fare.

All’improvviso si aprì la porta, fuori ormai era giorno e una lama di luce entrò dall’esterno illuminando la stanza e permettendogli di capire che si trovavano all’interno del capanno di lamiera che avevano visto nel cortile della trattoria. Fecero per alzarsi quando una figura si stagliò all’ingresso.

Tomàs li salutò con un sorriso smagliante “Buona becherovka?” disse, poi indicò un angolo del capanno, i ragazzi seguirono con lo sguardo il suo dito e scoppiarono a urlare. Le ombre appese erano dei cadaveri umani squartati, sotto i corpi si trovava un grosso trita carne incrostato di sangue. Tomàs li fissò con uno sguardo glaciale.

“Klobasa” disse ridendo indicando i cadaveri e poi loro. In una mano aveva un grosso coltello e nell’altra una bottiglia con un liquido scuro, entrò nel capanno seguito da altri due degli avventori che avevano visto la sera prima, anche loro armati con delle mannaie.

Tomàs si avvicinò ai ragazzi e, sempre con un sorriso smagliante dipinto sul volto, li costrinse sotto la minaccia del coltello a bere dalla bottiglia. 

Tutto tornò buio.

***

Vennero svegliati dal violento picchiettare della pioggia sul tetto di lamiera, erano ancora intontiti e impiegarono qualche minuto per riprendersi. Nonostante la paura cercarono di fare il punto della situazione: si trovavano all’interno del capanno nel cortile della trattoria, si trattava di una sorta di cella frigorifera, solo che al posto della solita carne era pieno di cadaveri che erano evidentemente utilizzati per preparare la klobasa di cui si erano cibati. All’idea vomitarono, poi cercarono di evitare di pensarci, erano prigionieri di una banda di folli cannibali, comandati da Tomas, e la loro prima preoccupazione era trovare il modo di scappare da lì. La stanza era immersa nel buio più completo, anche dalla porta non filtrava nessuna luce, erano stanchi, spaventati e cercarono di farsi forza a vicenda e di trovare un modo per scappare, l’alternativa era terribile! 

Il rumore della pioggia diventò sempre più forte e il capanno fu scosso da un vento violento. Il rumore del motore della cella frigorifera si fermò all’improvviso. Il frastuono della pioggia divenne assordante e le pareti del capanno tremarono visibilmente. I cinque si guardarono spaventati, la porta del capanno nonostante fosse chiusa con un chiavistello, incominciò a tremare e a sbattere per poi schiantarsi a terra. I cinque si guardarono e poi scattarono all’unisono verso l’uscita, ritrovandosi in mezzo a una tempesta.

Fuori era ormai sera e la pioggia cadeva torrenziale, la luce era saltata in tutta la zona e un vento violento spazzava il cortile scuotendo gli alberi che si abbassavano fino a quasi toccare il terreno. Gli ombrelloni erano volati via e anche i tavoli e i lampioni erano rovesciati, poco dopo un frastuono alle loro spalle li fece trasalire, il capanno crollò spazzato via dalle folate di vento.

Si guardarono intorno cercando di capire cosa fare, dalla casupola provennero dei rumori e uscirono quattro persone con delle torce elettriche in mano, illuminarono il cortile e poi gridarono nella loro direzione. I ragazzi senza perdere tempo scapparono sotto la tempesta dirigendosi verso la strada. 

La pioggia e il vento aumentarono ancora di intensità, dopo pochi metri trovarono un grosso albero caduto che bloccava la strada, avrebbero perso troppo tempo per scavalcarlo, si guardarono e si infilarono nel bosco. 

Incominciarono a correre disperati nel buio, inciampando nelle radici e nel sottobosco, erano bagnati fradici ma non potevano fermarsi, le luci dei loro inseguitori si avvicinavano sempre di più! Quando ormai credevano di essere raggiunti il bosco venne illuminato a giorno da un lampo, sentirono il boato di un tuono seguito da un tremendo frastuono dietro di loro, si voltarono e videro un enorme albero spezzarsi e cadere proprio sopra i loro inseguitori schiacciandoli. 

Si fermarono agghiacciati a osservare la scena, dall’albero caduto si alzava del fumo e qualche fiamma subito spente dalla furia della pioggia. Un paio di loro si avvicinarono con cautela. Sotto l’albero si trovavano i loro inseguitori, tre non si muovevano, mentre l’ultimo si lamentava flebilmente. Non c’era traccia di Tomàs, né di nessun altro. I ragazzi si guardarono in silenzio poi raccolsero una delle torce ancora funzionanti e scapparono via nel bosco senza fermarsi a pensare.

***

Non sapevano quanto tempo fosse passato, erano ancora nel bosco ma la pioggia aveva ormai smesso di cadere e il vento era cessato. Non sapevano esattamente dove si trovavano, avevano continuato a correre per un bel po’ senza pensare a dove stessero andando, si fermarono un attimo per riprendere fiato e cercarono di trovare un modo per uscire dalla foresta. Alla fine gli alberi si diradarono e davanti a loro si profilò una strada asfaltata. La raggiunsero a fatica, superando altri alberi crollati, poi si fermarono a riposare.

In fondo alla strada scorsero alcune luci e vi si diressero. Erano stanchi, zuppi, infreddoliti e spaventati e camminarono in silenzio fino a raggiungere una costruzione a due piani che sembra essere uscita dal passato, probabilmente risaliva agli anni ’50 e non era cambiata di una virgola, un’insegna gli fece capire che si trattava di un ristorante e decisero di entrare per chiedere aiuto.

Al loro ingresso gli venne incontro un signore rubicondo che indossava un grembiule da cucina, li guardò preoccupato e si rivolse a loro in ceco. I ragazzi provarono a rispondergli in inglese chiedendogli aiuto e un telefono, lui annuì li accompagnò in una salone, gli portò degli asciugamani e li guardò sorridendo. 

A gesti e in inglese cercarono di fargli capire di essere in pericolo e di chiamare la polizia. Il loro aspetto era decisamente preoccupante, l’uomo li ascoltò impensierito, cercò di tranquillizzarli e li fece sedere a un tavolo, fece il segno di telefonare, disse “policie” e sparì in un’altra stanza. 

I cinque erano stravolti, passato l’effetto dell’adrenalina della fuga era emersa tutta la stanchezza e la tensione di quelle ore e crollarono sulle sedie.

Poco dopo l’uomo tornò, portava cinque bicchierini di liquore e un piatto colmo di klobasa, quando lo guardarono perplessi indicò sorridendo un tavolo in un angolo in penombra.

Solo allora si accorsero di non essere soli nel locale, al tavolo indicato era seduto un gruppo di anziani in male arnese. Fra questi spiccava un giovane biondo e ben vestito, si alzò sorridendo e scostandosi un ciuffo di capelli da davanti gli occhi azzurri, sollevò il bicchiere e indicò il piatto davanti a loro.

“Klobasa?”

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