Klobasa - prima parte
Il paese, sperduto nelle campagne della Repubblica Ceca, era piccolo e sporco, le case vecchie e decadenti si alternavano a grossi palazzi grigi residui dell’epoca sovietica.
L’auto si fermò di fronte a una casa di tre piani in condizioni decisamente migliori rispetto al resto delle abitazioni, con un piccolo cortile e un giardino. Dall’auto uscirono cinque ragazzi dai capelli lunghi, indossavano giubbotti di pelle pieni di spille e toppe con improbabili loghi di band metal. Davanti all’uscio li aspettava un giovane ben vestito e dal sorriso smagliante, si scostò un ciuffo di capelli biondi dagli occhi azzurri e li salutò.
“Super! Super! Ben arrivati” disse in un italiano un po’ incerto, ma corretto.
I ragazzi gli andarono incontro salutandolo “Tomàs?”
“Sì, sì” rispose sempre sorridendo.
Strinse la mano a tutti e li accompagnò in casa illustrandogli, questa volta in inglese, l’alloggio dove avrebbero soggiornato nei prossimi giorni. C’era un festival metal che si svolgeva in una fortezza a pochi chilometri da lì, nel paese dove si svolge il festival non c’era posto per dormire all’ultimo però avevano trovato l’annuncio di un intero piano di una casa disponibile a poco prezzo e, visto che la distanza da dove si teneva il concerto era breve, avevano deciso di affittarla per una settimana. Ci sarebbero rimasti praticamente solo per dormire e il resto del tempo l’avrebbero passato al festival, fra concerti e fiumi di birra.
L’appartamento a loro riservato era costituito da una piccola cucina, un soggiorno, un bagno e un’ampia camera dove erano sistemati cinque letti. Nel frigorifero c’era un piatto con una grossa klobasa, una salsiccia tipica della zona simile a un wurstel, era accompagnata da un bigliettino con scritto in italiano “Buon appetito”.
Uno dei ragazzi l’agguantò e gli diede un morso.
“Cazzo se è buona!”
“Ma dai è cruda!”
“Ma chissenefrega, è buonissima non ho mai mangiato niente di simile! Chissà con che carne è fatta, non riesco a capirlo, ma è squisita”
Dopo un primo momento di incertezza anche gli altri decisero di assaggiarla, anche se solo dopo averla scaldata in padella, e tutti concordarono sulla sua bontà anche se non riuscirono a capire con che carne fosse fatta.
Dopo aver sistemato i bagagli ed essersi spartiti i letti, notato che era arrivata ora di cena, cercarono un posto dove mangiare. Sul comodino vicino all’ingresso c’era un altro biglietto lasciato da Tomàs con le indicazioni per raggiungere quella che sembrava una trattoria, il posto era vicino e decisero di andarci.
Per raggiungere la trattoria indicata dovettero lasciare il paese e prendere una strada buia e isolata che attraversava il bosco, dopo una decina di minuti videro apparire alla loro sinistra una spiazzo dove sorgeva una bassa casupola in legno con un’ampia finestra, nel cortile si trovavano alcuni tavoli coperti con degli ombrelloni e illuminati da alcuni lampioni a gas, su un lato del cortile sorgeva un capanno in lamiera senza finestre. Doveva essere il posto indicato da Tomàs ed entrarono nel cortile.
A un tavolo erano seduti degli anziani trasandati che stavano parlando ad alta voce, appena videro i ragazzi si ammutolirono. I cinque giovani fecero un accenno di saluto, ma i locali li guardarono male e giratosi verso il proprietario, che nel frattempo si era affacciato alla finestra della casupola per scrutare i nuovi arrivati, gli rivolsero qualche parole in ceco per poi scoppiare in una risata sguaiata.
I ragazzi fecero finta di niente e si sedettero a uno dei tavoli liberi dove poco dopo li raggiunse il proprietario, un omone dall’aspetto poco raccomandabile che indossava un grembiule unto e un cappellino con visiera da cui spuntavano pochi capelli sporchi. L’uomo li accolse con un sorriso forzato mostrando una bocca sdentata, dal capanno da cui era uscito, dove si trovava la cucina, proveniva un invitante odore di cibo, sull’esterno della struttura era appoggiata una lavagnetta con il menù in ceco. Provarono a rivolgersi a lui in inglese indicando il menù, per tutta risposta questi li guardò con sospetto, quindi si rivolse agli altri avventori in ceco scoppiando a ridere indicandoli. Tutti gli occhi erano fissi su di loro.
I cinque provarono a spiegargli a gesti che volevano bere e mangiare, l’oste annuì, torvo in volto, e disse secco “Pivo! Klobasa!”, quindi sparì in cucina senza aspettare una risposta.
Il lampione a gas illuminava fiocamente il tavolo e lunghe ombre coprivano il tavolo con immagini inquietanti, il resto del cortile a parte l'altro tavolo era immerso nel buio, gli sembrava sentire dei rumori soffocati e indefinibili, ma non riuscivano a capire da dove provenivano. I ragazzi si guardarono intorno perplessi, mentre dal tavolo vicino continuavano i commenti e le risate nei loro confronti.
“Cazzo, ce l’hanno proprio con noi”, commentò uno dei cinque, un tipo secco secco e dallo sguardo spaventato.
“Ma che te ne frega” replicò un altro coperto di tatuaggi “Sono dei bifolchi, non avranno mai visto dei metallari, adesso bevi e non ci pensare” disse ridendo, senza però riuscire a nascondere il proprio nervosismo.
Poco dopo rispuntò l’oste portando cinque boccali di birra, li appoggiò sul tavolo, sbottò “Pivo!” poi risparì in cucina.
“Finalmente si beve!”
I ragazzi sollevarono i bicchieri brindando, poi uno di loro, dai lunghi capelli lisci e corvini, si rivolse al tavolo dei locali accennando un brindisi, per tutta riposta quelli si ammutolirono e li guardarono malissimo.
“Mi sa che ci conviene bere in fretta e levarci dal cazzo prima che…”
La frase fu interrotta dall’arrivo dell’oste che portava con sé un piatto di klobasa fumanti. L’uomo mise il piatto davanti a loro e si fermò a fissarli.
“Klobasa! Eat!”
Anche i locali si erano girati verso di loro e sul posto era piombato il silenzio.
Il più grosso dei cinque deglutì e quindi afferrò un pezzo di Klobasa e la mangiò.
“Cazzo se è buona è la stessa di Tomàs!”
A quelle parole il visto dell’oste si illuminò.
“Tomàs?” disse sorridendo, quindi guardò gli altri avventori gridando “Tomàs!”
L’atmosfera cupa cambiò repentinamente, gli uomini seduti al tavolo alzarono i boccali di birra e gridarono in coro “Tomàs!” L’oste diede una pacca sulla spalla al primo che aveva mangiato.
“Tomàs, Tomàs, klobasa” disse divertito, tornò in cucina ed uscì poco dopo con altri cinque boccali di birra, guardò i ragazzi sorridendo e li lasciò davanti a loro.
“Pivo! Drink!”
L’atmosfera era diventata gioviale e si tuffarono sui piatti mangiando e bevendo con soddisfazione sotto lo sguardo divertito degli altri avventori che brindarono ridendo felici. Complici i litri di birra che l’oste continuava a portare iniziarono a interagire, più che altro a gesti, con i locali che li guardavano sorridenti parlando fra di loro in ceco, le uniche parole che capirono furono “Tomàs”, “pivo” e “klobasa”.
Era ormai notte inoltrata quando dalla cucina spuntò nuovamente l’oste portando un vassoio con cinque bicchierini e una bottiglia di liquore.
“Becherovka” disse indicando la bottiglia e riempiendo i bicchieri “Buona! Beve” aggiunse in un italiano stentato, mentre dall'altro tavolo si levò un applauso.
I cinque si guardarono un attimo e non se lo fecero ripetere, alzarono i bicchieri e all’urlo di “Becherovka porcoddio!” li tracannarono in un fiato.
Il proprietario guardò gli altri avventori e, non visto dai ragazzi, fece loro un cenno di intesa quindi rientrò nella cucina ridacchiando fra sé e sé.
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