Gentrificazione


Cosa rimane dei vecchi quartieri?
Tra suv e cellulari
Sono morti insieme a ieri
Stasera voglio stare solo e scrivo una canzone
E forse da domani tornerò tra le persone
(Gli Ultimi – È ora)

Seduto al tavolino del bar si guarda attorno e pensa a come è cambiato il suo quartiere in così poco tempo. Nuovi palazzi, nuovi locali, nuova gente… è migliorato, dicono, a lui fa schifo. È tutto pulito, bello, lucido, perfetto e luminoso e senza anima. 

Avevano iniziato cambiandogli il nome e dandogliene uno più adatto ai tempi moderni, Stadera o Baia del re come era conosciuto dai più anziani, faceva così vecchia Milano, meglio “Napa” un acronimo semplice, immediato e vuoto così adatto a questi nuovi tempi. Poco dopo erano arrivati i nuovi abitanti, rampolli dell’alta borghesia affascinati da quella periferia pittoresca e autentica e da lì a poco l’avevano trasformata a loro uso e consumo. 

I vecchi bar erano stati comprati a poco e trasformati in nuovi locali apparentemente rustici, ma in realtà artificiali e costosissimi. Servivano cocktail inutilmente elaborati e dai prezzi folli e imbevili birre artigianali aromatizzate con gli ingredienti più improbabili, col prezzo di una piccola ti facevi almeno tre medie in uno dei vecchi bar, ma i nuovi abitanti ne andavano pazzi. Poi era toccato ai negozi di quartiere, sostituiti da botteghe artigiane che di artigiano avevano ben poco, barbieri che parevano delle gioiellerie e negozi di vestiti vintage che nessuno dei vecchi abitanti poteva permettersi. 

Anche le trattorie popolari erano state sostituite da locali alla moda più adatti ai gusti dei nuovi arrivati, ristoranti “fusion” e "food experience" che vendevano un piatto minuscolo al prezzo di quanto prima si pagava un intero pasto, vino e dolce compresi. L’ultima ad arrendersi era stata la trattoria del vecchio, ora sostituita dal ristorante di un famoso chef televisivo dove pagavi per cucinare e farti insultare, e non era nemmeno lui a farlo, visto che si era presentato giusto il giorno dell’inaugurazione per le foto di rito, per poi sparire e non tornare. Questa roba lo mandava ai matti, paghi, cucini tu e ti becchi pure gli insulti, eppure c’era sempre la fila di gente entusiasta fuori dal locale.

Il parco agricolo dove amava passeggiare lungo i sentieri alberati in mezzo ai campi era stato stravolto, la cascina diroccata che i comitati di quartiere chiedevano da anni di ripristinare era stata abbattuta e seguendo il progetto di una nota “archistar” sostituita da una nuova struttura enorme in vetro e acciaio dalle forme contorte . I sentieri, per impedire che i nuovi arrivati potessero infangare le loro lucide e costosissime biciclette nel caso di pioggia, erano stati coperti di un nuovo materiale che simulava il terreno, ma era totalmente artificiale. Le rogge erano state private della vegetazione e trasformate in canali artificiali al cui interno erano state messe delle lampade colorate e di notte tutti i sentieri erano illuminati da luci che avevano definito “artistiche”, ma che erano solo un obbrobrio innaturale. Da lì a poco tutti gli animali che prima popolavano quel parco erano spariti e i campi agricoli abbandonati, la cascina all’ingresso del parco che curava i campi e allevava mucche da latte era stata comprata da una cordata di giovani imprenditori ed era stata sostituita da una nuova e modernissima che vendeva a caro prezzo prodotti a chilometro zero. Come fosse possibile che fossero a chilometro zero era un mistero, visto che la nuova cascina non coltivava nulla.

In tutto questo percorso i prezzi delle case erano salti alle stelle, i vecchi condominii erano stati tutti ristrutturati e gli abitanti costretti a spostarsi, ma di questo sembrava non importare niente a nessuno, anzi. Il quartiere, prima totalmente dimenticato se non per qualche episodio di cronaca nera, era salito agli onori delle cronache come il nuovo rilancio di Milano, era passato anche il sindaco, che negli anni precedenti non si era mai fatto vedere, ad esaltare il nuovo corso delle cose. Certo si erano premuniti di fare in modo che al discorso del sindaco non si presentassero i pochi vecchi abitanti che avrebbero potuto creare degli imbarazzi in quella nuova atmosfera trionfante. Solo i nuovi abitanti, ricchi, puliti, moderni e perfetti, dovevano essere visti. 

Alcuni attivisti del vecchio comitato di quartiere e di un centro sociale che ancora resisteva avevano provato a intervenire per mostrare le loro ragioni al sindaco, ma erano stati bloccati e brutalmente picchiati dalla polizia. Ovviamente lontano dai giornalisti, non che importasse, l’unica cosa importante era il nuovo splendido quartiere. 

Da lì a pochi giorni il centro sociale era stato sgomberato e il comitato di quartiere, che lì aveva trovato l’unica sede che poteva permettersi, era stato costretto a sciogliersi. Erano rimasti troppo in pochi per resistere e a breve anche loro avrebbero dovuto andarsene.

Sta pensando a questo quando sente la voce del barista chiamare i pochi avventori. Quello dove è seduto è l’ultimo vecchio bar rimasto, frequentato solo dai vecchi abitanti del quartiere, immigrati, anziani e operai, quelli nuovi lo evitano, troppo autentico per loro.

“Ragazzi” urla il barista “come sapete questa è la nostra ultima sera, non posso più permettermi l’affitto qui e domani chiudo. Apriranno un’enoteca, anzi no scusate un “modern cocktail wine bar”, una quelle merdate da fighetti, ma stasera siamo qua per festeggiare l’ultima sera e faremo in modo da renderla epica! Svuoteremo tutti i fusti e tutti gli alcolici, offro io! Facciamo vedere a questi stronzi chi siamo!”

Si alza un applauso e i bicchieri tintinnano in un brindisi condito di insulti e porchidii.

È ormai l’alba quando il bar chiude e gli avventori si allontanano, dopo gli ultimi saluti e abbracci. Tutti vanno in una direzione diversa, tutti lontano da quello che una volta era il loro quartiere.

Lui guarda l’avviso di pignoramento, questa mattina deve lasciare la casa dove ha abitato gli ultimi venti anni e si chiede dove andrà.

La chiamano gentrificazione, dicono che è il prezzo della modernità e che le cose sono migliori, ma a lui fa solo schifo.

Commenti

Post popolari in questo blog

La cascina

Lavorare

Who's to blame?