25 aprile

La notte era chiara
La luna un grande lume
Eurialo e Niso uscirono
Dal campo verso il fiume.
E scesero dal monte
Lo zaino sulle spalle
Dovevan far saltare
Il ponte a Serravalle.
Eurialo era un fornaio
E Niso uno studente
Scapparono in montagna
All'8 di settembre.
(Gang - Eurialo e Niso)

La costruzione situata appena fuori dal bosco dominava il sentiero, si trattava di un vecchia torre di guardia ormai diroccata, ma forniva una valida copertura dalle mitragliatrici dei tedeschi.

Giovanni e Pietro si guardarono, avevano finito le munizioni dello sten e gli rimaneva solo un’ultima granata. Sbirciarono dalle mura e videro il cortile sottostante coperto dai corpi dei tedeschi e dei fascisti che erano riusciti ad abbattere, le truppe si erano poi allontanate tenendosi fuori dalla portata delle armi dei partigiani, ma erano arrivati altri soldati, troppi per affrontarli tutti.

Di notte erano partiti per far saltare il ponte e bloccare la fuga delle truppe tedesche ormai allo sbando, la missione era riuscita perfettamente, ma al ritorno erano stati intercettati dalla soldataglia fascista che aveva subito avvisato la divisione tedesca lì vicino, intrappolandoli. Si erano rifugiati nella torre, dove fino a quel momento erano riusciti a respingere gli attacchi, ma sapevano che era solo questione di tempo e prima o poi avrebbero dovuto capitolare, era troppo la differenza di forze in campo.

Le truppa naziste che li aveva attaccati e le camicie nere che li accompagnavano erano conosciuti nella zona per la loro ferocia. Erano responsabili della morte di tanti ragazzi che, come loro, si erano rifugiati sulle montagne per combattere il nazifascismo. Alcuni erano stati uccisi durante i combattimenti, altri erano stati catturati e torturati orribilmente prima di essere fucilati, i loro corpi abbandonati in campagna come macabro monito. Ma i nazifascisti non avevano attaccato solo i partigiani, interi villaggi erano stati spazzati via, solo perché avevano dato loro rifugio  o anche solo perché erano sul passaggio della ritirata delle truppe tedesche. I nazifascisti stavano perdendo la guerra e lo sapevano e si vendicavano in ogni modo possibile, senza farsi problemi nell’uccidere anche donne e bambini. Troppo morti innocenti c’erano stati, troppi per potere essere dimenticati o perdonati.

Dalla piazza sentirono provenire dei rumori, il gerarca fascista e il capitano dei tedeschi stavano urlando degli ordini, poco dopo apparve un piccolo autoblindo che si fermò nel cortile e puntò il cannone verso il fortino, il gerarca guardò nella loro direzione e scoppiò a ridere. Giovanni e Pietro si scambiarono uno sguardo di intesa, sapevano che erano arrivati alla fine, stavano tremando, non per la paura ma per la rabbia di non potere vendicare i loro compagni. Se dovevano morire però non volevano farlo chiusi lì dentro, come topi in trappola. Presero l’ultima bomba e impugnarono le rivoltelle, quindi corsero nel cortile e lanciarono la bomba contro l’autoblindo prima che questo potesse sparare. La bomba colpì una delle ruote che esplose, la vettura si inclinò su un lato impedendogli di usare il cannone. I due poi spararono all’impazzata contro i nazifascisti, rimasti impietriti da quella sortita, il gerarca e un paio di soldati tedeschi caddero a terra morti, mentre gli altri cercarono riparo da quella gragnuola di proiettili.

Il tutto durò solo pochi secondo, il tempo di esaurire i colpi, poi Giovanni e Pietro si fermarono nel cortile, senza più munizioni potevano solo aspettare la fine. I tedeschi e le camice nere se ne accorsero rapidamente e uscirono dai loro ripari con le armi spianate, il capitano tedesco rise volgarmente e urlò qualche ordine puntando la pistola nei loro confronti, poi si fermò come paralizzato. Impallidì e sul viso, che prima era distorto in un ghigno sadico, si dipinse un’espressione di terrore. Indicò verso di loro facendo alcuni passi indietro, anche gli altri camerati arretrarono tremanti, alcuni provarono a sparare qualche colpo verso il bosco alle spalle dei due partigiani, ma poi tutti fecero cadere le armi e scapparono all’impazzata lungo il sentiero che si inoltrava nel bosco e scendeva verso valle, urlando come dei pazzi.

Giovanni e Pietro si guardarono stupiti, non sapevano spiegarsi cosa fosse successo. Si girarono alle loro spalle guardando il bosco verso cui il gerarca aveva puntato il dito e, anche se solo per qualche istante, gli sembrò di vedere come le ombre dei loro compagni caduti in battaglia o nei rastrellamenti e nelle rappresaglie dei nazisti e delle camice nere. La brigata passò loro accanto, sembravano trasparenti e incorporei, un sorriso era dipinto sui volti cerulei e, quando volsero i loro sguardi sui due ragazzi, sembrava quasi volessero rassicurarli che ci avrebbero pensato loro e che i nazifascisti avrebbero pagato per i loro crimini, quindi sparirono nel bosco dove erano scappati i soldati tedeschi e le camice nere. Poco dopo dal bosco provennero delle urla agghiaccianti, poi solo silenzio. 

Qualche settimana dopo arrivò il 25 aprile, Giovanni e Pietro scesero dai monti aggregandosi alle altre brigate partigiane, cantando e festeggiando per la Liberazione imminente e pensando ai loro compagni e la sacrificio di tutti quelli che erano caduti per la libertà.

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