Voci
Questo racconto è il seguito di Ovatta
Il sovrintendente della guardia forestale Sergio Renod passò il foglio con la deposizione a Giulio che lo firmò senza neanche guardarlo. Il ragazzo aveva un aspetto stravolto, gli occhi rossi e gonfi dal pianto, i capelli spettinati e sembrava che non dormisse da giorni, cosa comprensibile dopo quello che gli era successo.
Qualche giorno prima Giulio si era recato con la sua ragazza Monica in uno dei rifugi della Valle, avevano dormito lì e la mattina successiva erano partiti per una camminata che li avrebbe portati in cima a un monte vicino. La giornata era limpida e tutto sembrava andare per il meglio, ma a pochi metri dalla vetta il cielo si era improvvisamente oscurato a causa di nuvole nere che avevano tolto ogni visibilità.
Quando, pochi minuti dopo, le nubi si erano diradate Monica era sparita. La cima era un piccolo spazio sormontato da un’enorme croce in ferro, l’unico lato da cui si poteva raggiungere la vetta percorrendo un ripido sentiero era il loro, dall’altro lato la montagna cadeva a picco. Non c’era modo di nascondersi o perdersi, Giulio aveva provato a chiamare Monica, ma non c’era stata nessuna risposta, si era anche affacciato sul dirupo ma non l’aveva vista.
Giulio in preda alla disperazione era subito sceso al rifugio chiedendo aiuto. Fausta, la proprietaria, mentre il marito chiamava i soccorsi, era corsa a cercare la ragazza ripercorrendo il sentiero, ma anche lei, pur essendo un’esperta montanara, non l'aveva vista da nessuna parte. I soccorsi, appena arrivati, si erano messi alla ricerca di Monica, utilizzando anche elicotteri per perlustrare l’altro lato della montagna, ma non avevano trovato traccia.
Anche se le ricerche continuavano c’erano ormai poche speranza di ritrovare il corpo della ragazza che, secondo il soccorso alpino, una volta trovatasi sulla cima del monte nel buio più completo causato da quell’improvviso e inedito annuvolamento, doveva avere messo un piede in fallo ed essere caduta giù dal dirupo. Chissà dove era finito il corpo dopo una caduta da quella altezza, senza contare che probabilmente era stato spostato, se non peggio, dagli animali selvatici che popolavano quei boschi.
Sergio non era sceso in quei dettagli quando aveva parlato con Giulio, il poveretto era già distrutto così dal senso di colpa, ma gli aveva fatto capire che speranze di ritrovare Monica viva non ce n’erano. Certi incidenti, purtroppo, in montagna accadevano e Sergio, che aveva compiuto da poco 60 anni, ne aveva visti tanti. Ci voleva poco, soprattutto per quelli che chiamava i montanari della domenica, bastava mettere un piede in fallo anche sul più facile dei sentieri e si rischiava di farsi parecchio male, o peggio. Per non parlare di quelli che affrontavano scalate impegnative senza l’adeguata preparazione, ne aveva salvati molti e in altri casi, con suo rammarico, non aveva potuto fare niente.
Eppure, nonostante tutta la sua esperienza, un caso del genere non gli era mai capitato. Un fenomeno come quello, con quelle nubi nere che erano comparse all’improvviso praticamente dal nulla coprendo completamente e oscurando la cima del monte e che altrettanto rapidamente erano sparite, non lo aveva mai visto. Quando erano apparse le nubi, secondo il racconto di Giulio, tutto era piombato in un silenzio innaturale e il tempo sembrava essersi fermato fino a quando non era tornato il sereno e il mondo, sempre secondo le parole di Giulio, “aveva ripreso a vivere”.
Poi anche quella ragazza che era semplicemente scomparsa nel nulla senza lasciare nessuna traccia era una cosa strana. Esaminando la zona con l’ausilio dei cani avevano ricostruito che Monica era arrivata fino alla croce, poi più niente come se si fosse volatilizzata. Inizialmente aveva sospettato di Giulio, ma le indagini condotte insieme alla polizia avevano dimostrato la sua totale innocenza, era una coppia felice senza nessun contrasto, non c’era nessuna traccia di una colluttazione e dalle tracce era evidente che Monica avesse raggiunto la cima da sola. Sergio, insieme alla polizia, aveva interrogato a lungo Giulio ed era sicuro della sua innocenza e del suo sincero dolore. Alla fine avevano stabilito che la ragazza doveva essere caduta dal precipizio semplicemente perché non c’era nessun’altra spiegazione plausibile.
Gli erano tornate alla mente le parole che gli ripeteva sempre suo nonno, un vecchio montanaro che aveva continuato a camminare in quei boschi fino alla fine dei suoi giorni: “La montagna è meravigliosa, ma è anche dura e crudele e a volte può essere pericolosa e spaventosa”. Chissà cosa avrebbe detto lui di quella sparizione, probabilmente un’altra delle frasi che ripeteva sempre, “la montagna ha i suoi misteri ed bene che rimangano tali”.
Guardò fuori dalla finestra della piccola stanza di legno dove si trovavano e vide che ormai il sole era tramontato, posò gli occhi su Giulio che era rimasto seduto fermo, con lo sguardo perso nel vuoto. Sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.
“Senti, abbiamo finito, ormai puoi andare, ma visto che è tardi vuoi venire con me a cena? Conosco un posticino qui vicino e mi sa che tu non mangi decentemente da… quel giorno”.
Giulio restò in silenzio per qualche secondo, poi scosse la testa come se si risvegliasse da un sogno.
“Io… non ho fame”.
“Lo so” rispose Sergio “ma devi mangiare e poi lì hanno dell’ottimo vino e un liquore fatto in casa e, credimi, hai bisogno di bere”
Giulio lo guardò con gli occhi vuoti e mormorò un “Va bene” poco convinto.
Non sapeva perché gli aveva proposto di portarlo a mangiare, ma aveva preso in simpatia quel ragazzo, forse perché gli ricordava suo figlio e voleva cercare di fare qualcosa per lui, anche se poco. E poi c’era qualcosa nel profondo del suo sguardo che non riusciva a cogliere, qualcosa di non detto, non una menzogna, ma come se qualcosa lo tormentasse senza dargli tregua. Era sicuro che non fosse solo senso di colpa, sembrava qualcosa di peggio e voleva scoprire cosa fosse.
Il ristorante era un vecchio Rascard - una tipica costruzione della zona, un fienile in legno che appoggiava su dei “funghi” di pietra per impedire che i topi potessero entrare - completamente ristrutturato. Il locale era piccolo ed era arredato in stile montano, con una serie di attrezzi tipici appesi alle pareti.
Si sedettero a un tavolo e Sergio ordinò per entrambi mocetta con fonduta e carbonade con polenta.
“È uno spezzatino marinato nel vino, cotto a fuoco lento e per lungo tempo fino che non assume un colorito scuro, quasi come carbone, ma è tenerissimo e squisito” spiegò a Giulio, che però non lo stava a sentire e manteneva quello sguardo perso nel vuoto.
Nonostante il cibo fosse ottimo Giulio lo assaggiò appena, in compenso bevve le generose dosi di vino che Sergio gli versava. Bene, pensò Sergio. Non era sua intenzione farlo ubriacare, ma forse il vino lo avrebbe distratto almeno per qualche momento dai suoi pensieri cupi. Sergio cercò di parlare del più e del meno, ottenendo da Giulio solo qualche sporadica risposta, il suo sguardo rimaneva fisso e vuoto e il suo pensiero non si spostava da quello che lo tormentava.
Finita la cena Sergio si fece portare una bottiglia di un liquore dal colore verde pallido
“Vedi questo Genepy non è quello industriale che trovi nei negozi, questo lo fanno loro è ottimo” disse riempiendo il bicchiere di Giulio che lo tracannò di un fiato, per poi riempirsi di nuovo il bicchiere.
Sarà stato il vino o il liquore o il semplice bisogno di sfogarsi, ma qualcosa era cambiato nello sguardo di Giulio, sembrava finalmente accorgersi di quello che lo circondava. I suoi occhi si inumidirono di lacrime, guardò Sergio e balbettò:
“Grazie per tutto quello che stai facendo, davvero… ma non serve a nulla, nessuno può fare qualcosa”.
Sergio gli appoggiò una mano sulla spalla.
“Senti ragazzo, ti parlo come potrei parlare a un figlio, lo so che è doloroso perdere la persona amata e probabilmente ti sembrerà una frase fatta, ma ti giuro che col tempo passerà. Non devi tormentarti e crederti colpevole per quello che è successo, è stata una disgrazia e tu non potevi farci niente”.
“Non è quello” rispose Giulio con la voce che tremava, “Non è solo quello… io… io non ho detto tutto. Temevo che mi prendeste per pazzo, non ci credo ancora nemmeno io, ma…” la voce si ruppe in un pianto dirotto, Giulio tremava visibilmente, gli occhi spaventati erano fissi su Sergio, che non poté trattenere un brivido lungo la schiena. Quegli occhi erano pieni di terrore, un terrore che non aveva mai visto prima.
“Dopo che tutto si rabbuiò” proseguì a fatica Giulio “io ho sentito la voce di Monica che mi chiamava, solo che sembrava venire da lontano… non era normale”
“Senti” cercò di tranquillizzarlo Sergio “quando si è in mezzo alle nubi tutti i rumori si fanno rarefatti, non è così strano quello che dici e comunque ricordati non è colpa tua quella che è successo”
“NO!!!” urlò Giulio afferrando le mani di Sergio. Il suo corpo era scosso da forti tremori e gli occhi erano fissi su Sergio, le pupille ridotte a due punte di spillo.
“NON CAPISCI!!! NON È COSÌ!!! Quella voce non era solo rarefatta per le nubi, veniva DAVVERO da lontano, come da un altro mondo e mi chiamava, mi chiamava, mi chiamava e da allora non ha mai smesso, continua a chiamarmi, continua a chiamarmi, sempre…
anche…
adesso…”
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